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Giocare per diritto: il progetto Uisp Sicilia sull'Huffington Post

Il racconto delle iniziative con le voci dei genitori e delle famiglie da Agrigento, Enna, Messina, Trapani, Catania, Palermo, Giarre e Ragusa

 

Nel carcere di Ragusa, Jessica tiene il suo bimbo in braccio di 19 mesi. Osserva l'altra figlia di sette anni muoversi tra i giochi accompagnata da un clown e perdersi tra le bolle di sapone che si disperdono nel nel piccolo parco giochi realizzato nel cortile dallo staff di Giocare per diritto: un progetto Uisp Sicilia selezionato dall'impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa e minorile. Giocare è un diritto, per tutti. “Ai miei figli non ho detto che papà è in carcere – confida la giovane mamma - Ho detto soltanto che papà lavora a Roma con i carabinieri e che una volta a settimana viene a Ragusa, soggiorna dai carabinieri e noi possiamo andare a trovarlo". Le piccole bugie, a volte, possono diventare salvezza. Una piccola favola può rendere meno spietata la realtà. Così Jessica non è l’unica a non dire la verità. 

Damiano è un papà, uno dei 163 detenuti dell’istituto penitenziario: “Anche i miei tre figli sanno che sono qui, in carcere, per motivi di lavoro. I miei famigliari viaggiano da Catania per venire a trovarmi, partono alle 5 del mattino da casa. L’area gioco sicuramente li aiuterà a vedere questo posto con occhi diversi e non più soltanto come un posto con le sbarre e gli agenti. Quando la vedranno racconterò ai miei figli che ho lavorato anche io per costruirla”. Un bambino di quattro anni si dondola sull’altalena. A spingerlo è un altro bimbo, di qualche anno più grande. Non si erano mai visti prima, ma sembrano già amici. Da lontano, c’è chi li segue con lo sguardo, mentre si mette in fila, al controllo documenti. “E pensare che stamattina mio figlio non voleva venire qui, mi diceva: “Papà ho paura”. Adesso gioca e sorride, lo vedo tranquillo. È la sua prima volta in carcere”.

Hanno fatto decine e decine di chilometri per poter incontrare il nipote: ha 30 anni ed è detenuto da pochi mesi. Giocare serve a superare le paure, ma quando il tempo per l’incontro scade, separarsi resta un colpo al cuore. “È difficile spiegare a mio figlio più piccolo che non posso tornare a casa con lui. E allora reagisce, si arrabbia, chiede di voler parlare con la Polizia per convincerli a lasciarmi andare”, racconta Massimo, 49 anni. Di carceri ne ha girate parecchie, ha una famiglia numerosa. E’ diventato nonno quando aveva 38 anni, ha tre nipoti e cinque figli che hanno 6, 11, 18, 25 e 29 anni: “Dentro al carcere lavoro, mi occupo di manutenzioni, mando a casa un po’ di soldi, mia moglie lavora ma saltuariamente. È dura, anche per lei”. 

Davide, invece, si commuove, copre il volto, poi asciuga le lacrime. "Ho sbagliato, lo so, ed è giusto pagare ma questa è l'ultima volta che ci casco. Basta. Cosa posso fare per non far più soffrire i miei figli? Gli ho già procurato troppo dolore”. La responsabilità di una scelta che ha cambiato la vita ai figli diventa un macigno insopportabile, la condanna definitiva, la più difficile da scontare. I rapporti con la famiglia si complicano, cresce la rabbia insieme al vuoto lasciato dall’assenza. Per affrontare tutto questo, Giocare per diritto ha messo a disposizione un team di psicologi e legali, per genitori detenuti e famiglie, impegnati nello sportello di sostegno alla genitorialità all’interno e all’esterno degli istituti penitenziari di Agrigento, Enna, Messina, Trapani, Catania, Palermo, Giarre e Ragusa. Poi, ci sono laboratori sportivi e sull’intelligenza emotiva, di robotica educativa nelle scuole e in quartieri dove sono moltissime le persone che sono o sono state nel sistema penitenziario, come il rione Danisinni di Palermo. Lì, molti bambini non avevano mai messo piede fuori dal borgo. Si accede da un’unica strada, senza uscita. Intorno alla piazza, davanti la parrocchia, girano incessantemente calessi. I bambini al seguito giocano imitando i cavalli in corsa.

Adesso, giocano a calcio, in squadra, bambine e bambini insieme. Divise, borsoni e trasferte in bus. Partecipano per la prima volta ad un campionato cittadino. Si muovono tra i campi di calcio nei quartieri di Palermo. Hellen, undici anni, si allena e gioca la sua partita: “I miei amici sono fieri di me. Quando mi alleno sono felice e da grande vorrei fare la calciatrice, è il mio sogno". GUARDA IL VIDEO
Ogni trasferta diventa un viaggio alla scoperta di se stessi, degli altri e di una città natale ma sconosciuta. Da esplorare, giocando. (Fonte: Huffington Post, a cura di Laura Bonasera, responsabile comunicazione progetto “Giocare per diritto”)